La presunta superficialità dei danzatori italiani

da tuttoDanza
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Di Aldo Masella

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Gentile signora Montespan, ho letto su un giornale francese lasciato sul treno Genova/Milano, un suo articolo sulla danza. Mi auguro che lei non abbia come protettori un marchese o un re, come accadeva alla  sua omonima Francoise Athenaise de Rochechouart Montespan, il cui marito era, appunto, marchese ed il suo protettore Luigi XIV re di Francia, meglio conosciuto come il Re Sole. Ambedue erano perdutamente innamorati, l’uno della moglie, l’altro della propria amante al punto da far energicamente maltrattare dalle guardie di palazzo chiunque osasse mancarle di rispetto.

Signora Montespan, la premessa potrebbe sembrarle gratuita, e le darei anche  ragione, se non mi accingessi a dire che lei ha scritto delle solenni corbellerie. Incolpando i ballerini italiani di superficialità, modestissima preparazione tecnica e carenza di quell’ allure che vanta quale esclusivo patrimonio dei giovani coreuti francesi, mostra di non avere alcuna percezione di quanto la danza italiana si sia evoluta oltre quello standard che dovrebbe conoscere,  al punto da preoccupare non poco i suoi conterranei danzanti ed una superba pletora di altri cultori di quest’arte sparsi in mezza Europa.

Ricapitoliamo, gentile signora, all’epoca del Re Sole la Francia aveva già ricevute le visite di numerosi maestri italiani quali Virgilio Bacesco, Pietro Martire, Ludovico Paluello, Ambrogio Landriani, Lucio Compasso, Francesco Giera ed era completamente conquistata dal fiorentino Giovan Battista Lulli autore della commedia/balletto.

Il maestro toscano, esperto musicista, si dichiarò prosecutore di quegli eventi d’arte legati alla genialità di Pompeo Diobono e di Baldassarre di Belgioioso, autore, quest’ultimo del Ballet Comique de la Reyne. Ma credo opportuno ricordarle anche l’enorme consenso colto da Cesare Negri con il suo Nuove Invenzioni di Balli, al cospetto del quale l’Orchesographie del suo conterraneo Thoinot Arbeau apparve un’opera più che modesta.

La storia c’informa inoltre di Gaspero Angiolini, di Gaetano ed Augusto Vestris e di Salvatore Viganò del quale Stendhal ebbe una grande stima al punto da scrivere: “La plus belle tragédie de Shakespeare ne produit pas la moitiée de l’effect d’un ballket de Viganò”.

Lascio per ultimi Carlo Blasis  autore di un Traité elementaire Theorique e Pratique de la Danse cui si deve la formazione di due importanti compagini: la scuola scaligera e quella del Teatro Bols’hoi di Mosca, Filippo Taglioni e sua Figlia Maria, definita da Theophile Gautier – Marie pleine de grace – Carlotta Grisi, Fanny Cerrito e, se permette, il più grande maestro di ogni tempo: Enrico Cecchetti.

Come vede, ballerini e maestri italiani hanno lasciato un’impronta più che netta in Francia.

Quelli contemporanei sui quali fa cadere immeritate accuse, sono artisti di tutto rispetto che, negli stili da loro  scelti, hanno conseguito eccellenti risultati.

Farle un elenco, significherebbe trasformare il giornale che ospita i miei articoli in un’enciclopedia, ma potrei suggerirle di dare un’occhiata alle valorose testate italiane che si occupano di danza per avere esaustive notizie sui nostri giovani talenti presenti in ogni parte del mondo.

Esecutori onusti di allori, ma anche coreografi o docenti cui è stato riconosciuto il merito di aver dato un grande impulso al rinnovamento di  strutture calcificate in un immutevole repertorio.

Di una nostra grande danzatrice che aveva collaborato a lungo con lui, Maurice Bejart ebbe a dire: “Tra Grazia e me ci sono delle grandi affinità, ella ha la forza e l’innocenza delle grandi eroine italiane”.

Di conseguenza, cara signora, le suggerirei di rivedere con molta attenzione i suoi giudizi in particolare per quanto riguarda quell’allure che dice essere  patrimonio solo dei tersicorei d’oltr’Alpi.

Dia uno sguardo ai nostri artisti quando entrano in scena, si accorgerà che in quanto a quell’allure e cioè “portamento, eleganza” non sono secondi ad alcuno.

Sulla modesta preparazione tecnica mi viene un dubbio. Non è che a provocare la sua sentenza è stato qualche feuilletton  di cui, sembra, non poter fare a meno la televisione italiana?

Sarebbe giustificato allora anche l’aggettivo superficiale. Mi permetta però un suggerimento: “Non faccia di tutta l’erba un fascio”.

                                                                                              

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