Lo chiamano “coreografo visionario” per il talento che Alonzo King dipana nelle sue costruzioni di danza, “cattedrali” di movimento puro. Cattedrali visibili e apprezzabili anche nel dittico che presenta nella sua prima apparizione al Ravenna Festival (sabato 9 luglio, Palazzo Mauro de Andrè ore 21.30) con i paesaggi di danza intima di Writing Ground, ispirato alle liriche di Colum Mc Cann su un mosaico di musiche tradizionali di diverse religioni, e Rasa, coreografia nata dalla collaborazione con il grande musicista di tabla Zakir Hussain (uno dei molti specialisti di World Music con i quali King collabora da sempre), intessuto di una squisita filigrana coreografica dove, nell’eco di gesti che riemergono inaspettatamente dalla struttura classica, l’autore sembra suggerire una connessione tra i diversi linguaggi del corpo, confluiti nel corso del tempo in un unicum.
È un gioco di linee aguzze e luminose, quello di Alonzo King, rivelatore delle forti ascendenze balanchiniane dell’artista, che fu allievo di Stanley Williams alla School of American Ballet. Eredità entrata nel suo dna ed imprinting decisivo – maggiore anche del breve passaggio da Alvin Ailey – quando decise di passare definitivamente (a soli trent’anni) alla coreografia, fondando nel 1982 la sua compagnia Lines, con sede a San Francisco in California. Da allora è stato un esploratore instancabile dell’evoluzione del balletto neoclassico in forme contemporanee e in lavori sensibili al rapporto con altri generi musicali e artistici, come le collaborazioni con il maestro di tablas Zakir Hussain, il leggendario sassofonista Pharaoh Sanders e persino con i monaci Shaolin o gli artisti africani Baka. La tecnica del balletto classico non è per King uno stile, bensì “una scienza di movimento basata su leggi naturali”, alla quale affianca, per l’allenamento dei suoi danzatori, altre discipline, dallo yoga al Gyrokinesis. Figlio di un attivista per i diritti civili, Alonzo King è inoltre figura perfettamente in sintonia con il tema sulle tracce di Mandela lanciato dal Ravenna Festival di quest’anno. E al Palazzo Mauro de André dimostrerà nel suo dittico l’anelito spirituale cui si ispira negli ultimi anni. “La danza può e deve essere un ritorno allo spirito. Com’era in origine: una pratica per connettersi con il Divino”, afferma King. A interpretare le sue “thought structures” (“meditate strutture”) di danza, una compagnia recentemente rinnovata con interpreti svettanti in altezza e tecnica brillante, in grado di lanciarsi nelle pirotecnie dei suoi lavori.
Commissionata nel 2010 dai Ballets de Monte-Carlo Writing Ground, che ha debuttato negli Stati Uniti nel 2013, è una coreografia ispirata alle liriche di Colum McCann, scrittore americano di origine irlandese, affiancata da una selezione raffinata di musica sacra tratta dalla tradizione ebraica, cristiana, musulmane e tibetana. King la immagina come danza empatica tra culture e religioni diverse, immersa in un bagno dorato dalle luci di Axel Morgenthaler, abituale collaboratore di King, e dai costumi raffinati di Robert Rosenwasser, altra firma storica del Lines Ballet. Nelle note di presentazione, Colum McCann dedica alcuni versi alla vessata condizione delle donne, a cui fa eco un episodio della coreografia nella danza desolata di una danzatrice, al tempo stesso forte e vulnerabile.
Rasa, che chiude lo spettacolo, nasce nel 2007 dalla collaborazione con il grande musicista di tabla Zakir Hussain. Un rapporto basato sui fondamenti della ‘classicità’: “Cosa si intende per classico? Ciò che è permanente, opposto a ciò che è temporaneo. È ciò che sostanzia l’essenza delle opere che attraversano i tempi e restano universalmente ‘parlanti’, ieri come oggi.”
E così ecco che la dialettica tra danza e la musica per tabla parte proprio dall’idea di universalità/permanenza che sostanzia le due arti. King si confronta con la complessa partitura di Hussein ( cui si affianca il violino e la voce di Kala Ramnath) partendo dalla sua visione del senso del movimento che si ‘irradia’ dal singolo danzatore. Non sfugge infatti che nelle nove sezioni di Rasa la danza non è quasi mai ‘corale’, quanto piuttosto giustappone i singoli interpreti – ora colti in assoli, ora in duetti o trii- ciascuno sempre con il proprio specimen coreografico. In questa complessa e suggestiva tessitura di dinamiche si compie un altro dei tipici effetti della danza di King. L’occhio è portato a focalizzare i particolari: un polso che improvvisamente si piega; un busto che si avvolge su se stesso; ora un danzatore isola parti del corpo come nell’hiphop, un altro avvolge una gamba sull’altra in un sinuoso arabesco fisico.
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