Horizon / Alter: recensione di Michele Olivieri con un intervento di Anna Maria Prina

da tuttoDanza
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Nella finestra dedicata alla “Vetrina Italia” per il trentennale di MilanOltre Festival, è andato in scena il doppio appuntamento, con la creatività italiana, proposto da Manfredi Perego e da Stefania Ballone.

Manferdi Perego in Horizon

Manferdi Perego in Horizon

Il primo ha allestito Horizon, caratterizzato dapprima da un ritmo frenetico, fino a giungere all’estrema lentezza del movimento corporeo racchiuso in un concetto di estensione visibile, il quale si fonde in tutt’uno tra carne, spirito, mente e materia. Una performance in cui Manfredi Perego si traduce in un ottimo fraseggiatore della ricerca. La sua danza è varia nei colori e negli accenti riuscendo a seguire una linea, non certo priva di sperimentazione e di non facile comprensione, tra espansioni trascinanti, contrazioni ed esplosioni che lo portano a staccare i tempi, a tratti frenetici, umanamente definiti in rapporto al variare del pensiero “immaginario”.

La seconda ha portato sul palco dell’Elfo Puccini una creazione (in prima nazionale) dal titolo Alter riuscendo a fondere armonia, musica, ritmo e melodia nella sensorialità di una rinascita. La coreografia ha mostrato un agire e un movimento i quali partono dalle emozioni, dal sentore, dalla commozione e dalla gioia nel ritrovarsi “vivi”.

L’étoile scaligero Massimo Murru, eccezionalmente in scena, ha rivelato tutto il suo carisma con energici passaggi, e tecniche prese, dettate dalla potenza, dall’erotismo fino alla spiritualità del ruolo, regalando una riverente interpretazione verso l’adorante pubblico in quanto la sua danza è sempre centralizzante e non manca mai di garbo. L’estro fortemente teatrale di Stefania Ballone, avvalorato dalla capacità di catturare lo spettatore, unitamente a Murru, ha polarizzato l’ammirazione della sala mettendo in luce l’eminente tecnica coreutica dalle linee affusolate ed indelebili.

Stefania Ballone danzatrice risulta accattivante ed armoniosa delineando il suo personaggio in un naturale compimento delle risorse ricche di sentimento e di abbandono e alternativamente di vigore, tra dolcezza ed impeto. Il viaggio iniziatico di un uomo e una fanciulla dal gusto favolistico risulta, nel finale, l’emblema dell’espressività nella necessità di rendere i due personaggi virtuosi ed eterei con una parvenza carnale in cui la fuga dalla realtà si decodifica verso la percezione ed integrazione delle reali facoltà mirate al possibile. Una miscela tra morbidezza e sensualità ben dosata, nelle nuove e audaci forme della danza contemporanea, supportate dalle ricche videoproiezioni, che mostrano un’anima sicura e mai domabile.

Alter unitamente all’interpretazione e all’affiatamento dei due danzatori si connota per impegno, sensibilità e soprattutto per una partecipe comprensione degli aspetti crepuscolari sul tema dell’incontro, simboleggiato dal seppellimento dell’uomo “vecchio” per la rinascita dell’uomo “nuovo”. Un passepartout che apre l’accesso a un lungo percorso di trasformazione come segno esteriore indicante la rigenerazione che è avvenuta o che avverrà nel consapevole. Stefania, nella doppia veste, unitamente a Massimo ha avvalorato la tesi che una buona danza contemporanea parte sempre dallo studio attento e dalla conoscenza del metodo classico accademico.

In platea ad applaudire la coppia scaligera anche la già direttrice della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano, la signora Anna Maria Prina la quale mi ha gentilmente rilasciato una dichiarazione a caldo: “Per me è uno spettacolo, seppur breve di 35 minuti, che fa spettacolo. Il linguaggio moderno-contemporaneo appartiene a Stefania coreografa, non è un linguaggio da mettere nelle “caselle” di genere. Vive di una sua forza incredibile, sia per la potenza evocativa del messaggio sia fisica. Stefania e Massimo sono due danzatori “puri” e straordinari che non tralasciano la bellezza del movimento e delle forme, delle immagini, delle luci, dei suoni… per cui risulta uno spettacolo molto intenso, che mi ha fortemente emozionata; mi è entrato dentro e assolutamente lo promuovo.”

I due lavori proposti, nella loro diversità concettuale e performativa risultano accomunati da un disegno “immaginario” di cui la vera essenza protagonista viene racchiusa nella forma architettata dall’evoluzione dei segni: sonorità, echi, corpi e linguaggi implicati in una notazione a tratti rarefatta ma ben sedimentata nei pensieri e nel rafforzamento onirico.

Michele Olivieri

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