Recensione de “Il Lago dei Cigni” di Wheeldon all’Opera di Roma

da tuttoDanza
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Il lago dei cigni rappresenta senz’altro uno dei banchi di prova più temibili per qualsiasi corpo di ballo. Parliamo ovviamente di coreografie di base classica, derivate dalla fortissima impronta che Marius Petipa e Lev Ivanov diedero ad uno dei titoli più celebri del repertorio. Approda ora a questa mastodontica partitura il Balletto del Teatro dell’Opera di Roma (leggi qui la presentazione dello spettacolo), guidato dall’aprile del 2015 da Eleonora Abbagnato che ha optato per la versione del Lago che Christopher Wheeldon creò nel 2004 per il Pennsylvania Ballet.

"Il Lago dei Cigni" di Christopher Wheeldon. © Ph. Jean-Charles Verchère.

“Il Lago dei Cigni” di Christopher Wheeldon. © Ph. Jean-Charles Verchère.

È un lavoro del giovane Wheeldon, quindi: coreografo attratto sì dai ripensamenti di titoli del grande repertorio (ricordiamo anche una sua Bella addormentata per il Balletto Reale Danese) ma il cui punto di forza è da sempre rappresentato dal balletto di tipo astratto, forte anche dell’esperienza maturata in seno al New York City Ballet.

Il punto di partenza di questo Lago è molto accattivante anche se in fase di realizzazione qualcosa si è perso per strada. Wheeldon prende come referente le celebri ballerine di Degas, dicendosi affascinato dal mondo spesso ambiguo che caratterizzava il rapporto fra protettori e ballerine. Ed è proprio da qui che prende vita l’intreccio della sua creazione: ci troviamo in una sala in cui iniziano le prove per una rappresentazione del Lago. C’è un mecenate-protettore che avvicina una ballerina provocando lo scontento del Primo Ballerino che è il personaggio fulcro dell’intera vicenda. Già, perché alla fine del primo atto, una volta terminate le prove, il Primo ballerino cadrà vittima del fascino del balletto, sognando di trovarsi in riva al lago in un ininterrotto scambio tra fantasia e realtà. I due atti bianchi diventando grossomodo il sogno del Primo ballerino che si invaghisce di Odette mentre i rimanenti due atti sono quelli che ci riconducono alla realtà. Il terzo atto in particolare viene caratterizzato da una cena di gala in cui il mecenate (in cui il Primo ballerino riconosce il malvagio Rothbart che tiene prigioniere le fanciulle-cigno del proprio sogno) presenta una ballerina: il Primo ballerino crede di scorgervi Odette ma è invece Odille, ovvero il ‘cigno nero’. Naturalmente niente happy ending: i sogni rimangono tali e il Primo ballerino si troverà nuovamente nella sala prove.

Scena di insieme de "Il lago dei cigni". © Ph. Yasuko Kageyama

Scena di insieme de “Il lago dei cigni”. © Ph. Yasuko Kageyama

Il referente iconografico cui si ispira Wheeldon, ovvero la pittura di Degas, è esplicitato subito dopo l’alzarsi del sipario: su una riduzione per pianoforte della Valse Bluette compaiono alcune ballerine atteggiate come in quadro del celebre pittore impressionista. Chi è stanca e si appoggia su una panca, chi rimane voltata di spalle circondata da uno scialle, chi è intenta a guardarsi le scarpette. Peccato che questo incipit rimanga solo tale. Il resto della parte visiva infatti elude le aspettative. La scena ad opera di Adrianne Lobel rimane pressoché fissa e non giova molto a infondere la magia che ci si aspetterebbe dal Lago. Le pareti della sala prove iniziale vengono talvolta riassemblate nel tentativo di creare nuovi ambienti ma con risultati alterni, soprattutto per quanto riguarda le scene in riva al lago. Non convincono nemmeno le luci di Natasha Katz, a volte fin troppo ostentate in una fiacca monocromia (agli atti bianchi), a volte ingenue (un fascio di luce su cui compare la silhouette di alcuni cigni all’inizio del sogno del Primo ballerino), se non mal ‘puntate’ (passo a due del cigno nero). Insomma, il mondo di Degas fatto di colori tenui e ovattati sembra confinato alla sola immagine iniziale di cui abbiamo riferito.

Scena di insieme de "Il Lago dei Cigni". © Ph. Jean-Charles Verchère.

Scena di insieme de “Il Lago dei Cigni”. © Ph. Jean-Charles Verchère.

Christopher Wheeldon concepisce una danza molto rispettosa dell’originale per quanto riguarda gli atti bianchi. D’altronde, la coreografia di Lev Ivanov sembra costituire da sempre una sorta di tabù per i rifacimenti in chiave classica. Forse perché troppo perfetta? Chissà. Seppur fedele agli ideali di bellezza e purezza, Wheeldon riesce a ripensarla in modo molto intelligente e con grande chiarezza. Ad esempio alterna le linee parallele con i cerchi in modo da non rendere troppo statici gli ensemble dei cigni. Ama i cambi di port bras continui e inattesi. Anche se fissati in una linea talvolta i suoi cigni si alzano e si abbassano, uno dopo l’altro, quasi a ricreare l’effetto di un’onda. L’atto che subisce più cambiamenti è il terzo che Wheeldon immagina come una sorta di ricevimento: la tarantella è ora un can-can mentre la danza russa diventa l’occasione per uno spogliarello per la gioia dei dandy che affollano la sala. I numeri più celebri, come l’adagio del primo atto bianco, il pas dei piccoli cigni, il pas de deux del cigno nero rimangono pressoché invariati. Lo stile che ammanta il balletto è sempre misurato, mai plateale o gratuito. Il che non è un male: ma forse verrebbe da pensare che con scene, costumi e luci diverse questo Lago avrebbe potuto avere altra sorte.

Federico Bonelli e Laurent Cuthbertson ne "Il Lago dei Cigni" di Christophet Wheeldon. © Ph. Yasuko Kageyama.

Federico Bonelli e Laurent Cuthbertson ne “Il Lago dei Cigni” di Christophet Wheeldon. © Ph. Yasuko Kageyama.

Venendo agli interpreti, su tutti ha convinto il Primo ballerino / Siegfried di Federico Bonelli, Principal del Royal Ballet di Londra. Ha ben caratterizzato tutta la gamma di sentimenti che affastellano il suo personaggio, sempre in bilico tra utopia e realtà, ora smarrito dalla potenza del suo stesso sogno, ora geloso, ora sconcertato dalla fine di un amore impossibile. Bravissimo. Ottimo anche da un punto di vista puramente tecnico. Nei panni di Odette e Odile, Lauren Cuthbertson, anch’essa Principal del Royal Ballet e già musa di Wheeldon per la creazione di Alice’s Adventures in Wonderland convince a stento sia nei panni del cigno bianco che in quelli del cigno nero. Nessun guizzo interpretativo, pathos quasi assente, tecnicamente ineccepibile… dimostra di trovarsi a proprio agio in questo Lago dalle tinte ‘soft’ ma poco altro. Bene, seppur con qualche lieve asincronia, il corpo di ballo femminile agli atti bianchi. Una prova che conferma la bravura della compagine capitolina raggiunta sotto la guida di Eleonora Abbagnato. Ricordiamo fra gli altri il Mecenate / Rothbart di Manuel Paruccini che ha ben caratterizzato la sottigliezza e la malvagità del proprio personaggio. Sensuale e ammaliante Alessandra Amato come interprete della danza russa così come sono apparsi eleganti e perfettamente in consonanza con lo stile di Wheeldon Susanna Salvi, Rebecca Bianchi e Alessio Rezza nel pas de trois del primo atto.

Al di là delle riserve sulla parte strettamente visiva dello spettacolo, non si può che dir bene del Balletto della capitale. Il che fa sperare grandi cose per il prossimo cimento classico: La bella addormentata nella coreografia di Jean-Guillaume Bart programmata per il febbraio 2017. Il lago dei cigni di Christopher Wheeldon rimarrà in scena al Teatro dell’Opera di Roma fino al 5 novembre 2016.

Matteo Iemmi

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