Amore e Morte
Recensione di Soirée Roland Petit in scena al Teatro dell’Opera di Roma, a cura di Roberta Cauchi
Il Teatro dell’Opera di Roma, nel mese di settembre, con Soirée Roland Petit ha reso omaggio ad uno dei più grandi coreografi del balletto, mettendo in scena L’Arlésienne , Le Jeune homme et la Mort e Carmen.
Lo spettacolo di chiusura della stagione 2016/2017 ha riscosso un buon successo di pubblico sebbene il linguaggio coreografico proposto non è tra i più semplici da decifrare. Occorre, infatti, contestualizzare l’opera di Roland Petit per comprenderne appieno il messaggio, così moderno e originale se inserito in un processo evolutivo compiuto dalla danza.
Delle tre creazioni il primo lavoro proposto è stato L’Arlesienne (1974) su musiche di Bizet. Ispirato al lavoro di Alphonse Daudet, il balletto venne creato per il Ballet National de Marseille. Si tratta di una storia d’amore, ma di un amore infelice tra Frederi (Alessio Rezza) e Vivette (Rebecca Bianchi) in un’ambientazione rurale dalla forte valenza popolare.
Sui giovani promessi sposi, però, incombe una vera e propria ossessione: l’ombra della donna amata, della sua Arlesiana, fantasma verso il quale Frederi è appassionatamente rivolto, donna che lo condurrà fino alla morte, proprio durante la notte delle sue nozze.
Di fronte a tale drammaticità lo spettatore viene investito dalle spiccate doti interpretative dei protagonisti, in particolare la forte espressività di Alessio Rezza che, nella scena finale, sembra davvero trasmettere quel distacco dalla vita reale, preludio di un momento fatale. Coreograficamente rimangono nella memoria anche i movimenti dei ballerini, spesso costretti in “ensemble” dove i passaggi così ravvicinati e le composizioni dei passi così inusuali, creano elementi di difficoltà, come se il gesto stesso volesse caricarsi di una teatralità innaturale.

Eleonora Abbagnato e Stéphane Bullion in “Le Jeune homme et la Mort”. © Ph. Yasuko Kageyama / Teatro dell’Opera di Roma.
Ed è sempre la Morte che ricompare come filo conduttore nel secondo brano in programma, Le Jeune homme et la Mort, su musiche di Johann Sebastian Bach. Qui l’étoile Eleonora Abbagnato nel suo abito giallo, nella sua caratterizzazione, ha danzato nel ruolo della Morte e Stéphane Bullion nel ruolo del ragazzo, drammaticamente rifiutato dalla donna amata. Lei seducente, ammaliatrice, a volte algida, a tratti appassionata, ci ha condotto nel freddo e solitario momento del suicidio, con un’espressività ed un’ interpretazione intensa e forte. Lui che, invece, aveva l’arduo compito di rivestire un ruolo interpretato in maniera indimenticabile dal grande Nureyev, ha danzato con grande enfasi e pathos, riuscendo a ricreare l’atmosfera dello studio freddo e povero nel quale, in solitudine, poi si ucciderà.
La Carmen, creata nel 1949, è stato l’ultimo balletto in programma, a conclusione di una serata all’insegna non del tecnicismo, né della perfezione formale, ma della teatralità. In cinque quadri si racconta la storia di Carmen, Don José e il torero Escamillo, su musiche di Bizet, scene e costumi originali di Antoni Clavé. È qui che gli amanti di Roland Petit non possono non ricordare l’interpretazione di Zizi Jeanmarie, rimasta nella memoria di tutti. La bella gitana che seduce Don José, con movimenti voluttuosi e sensuali nella stanza “del peccato” riesce ad esprimere una travolgente passione con un linguaggio che si può definire moderno.

Natasha Kusch e Michele Satriano in “Carmen”. © Ph. Yasuko Kageyama / Teatro dell’Opera di Roma
Apprezzabile l’interpretazione di Rebecca Bianchi nel ruolo di Carmen sia nell’aspetto esecutivo sia nell’interpretazione. Grande sintonia del corpo di ballo e bravi i ballerini che rivestivano i ruoli secondari.
E così con la danza della morte finale, con lo sfondo dell’arena di Siviglia e l’ultimo passionale saluto di Carmen, uccisa per gelosia, si è conclusa una serata tra tradizione e modernità tra amore e morte, in un Teatro dell’Opera che vive un momento di grande crescita e innovazione.
Roberta Cauchi