“La Danza non è uno sport”: una riflessione di Alessandro Rende

da tuttoDanza
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Alessandro Rende - la danza non è uno sport

Alessandro Rende, già presidente della Lega Italiana Danza, direttore artistico di eventi dedicati alle scuole di danza, docente di danza classica e danzatore del Teatro dell’Opera di Roma, ci ha inviato una riflessione che con piacere vogliamo condividere con voi. Fateci sapere qual è la vostra opinione nei commenti.

Questi mesi di restrizioni che hanno coinvolto le nostre vite e le attività lavorative hanno portato ognuno di noi a fare delle riflessioni sul presente e sul possibile futuro. La mia attenzione è rivolta al mondo della danza e più in particolare alle scuole di danza, che sento in piccola parte di rappresentare, vista la mia attività di ballerino, docente e direttore artistico di concorsi e stage.

Personalmente credo che il nostro sia, tra i settori dell’economia, quello che oggi riceve minore attenzione e ascolto da parte del Governo e questo, a mio avviso, è dovuto anche al suo inadeguato “inquadramento”. Le scuole di danza, come molti di noi sanno, non sono palestre e dunque non andrebbero “trattate” come tali. Erroneamente, queste realtà vengono oggi inquadrate come “attività sportive”, settore certamente importante, ma profondamente diverso dal mondo artistico per natura, modalità e finalità.

alessandor rendeUn fraintendimento analogo coinvolge il riconoscimento della professione per gli insegnanti di danza, che non sono “tecnici sportivi” come di fatto il CONI attualmente li identifica. A tal proposito, personalmente non considero adeguato, come strumento di abilitazione all’insegnamento della danza, il tesserino rilasciato dagli enti di promozione sportiva, e non perché voglia screditare chi organizza i corsi, ma perché nella maggior parte dei casi si tratta di un approccio insufficiente, se non del tutto erroneo alla professione (tra l’altro con costi non indifferenti che in molti scelgono comunque di affrontare per ottenere il riconoscimento dell’ente, oggi pressoché obbligatorio per poter insegnare all’interno delle ASD e SSD).

La danza è un’arte: è espressione dell’anima, emozione, significato, racconto e bellezza. Sono io stesso un danzatore e, in quanto professionista, vengo correttamente inquadrato come “artista”: per quale motivo allora l’attività di formazione svolta da centinaia di migliaia di docenti e giovani allievi dovrebbe essere etichettata come “sport”?

Le scuole di danza, a mio avviso, così come le scuole di musica, recitazione, canto o pittura, andrebbero riconosciute come “attività artistiche” e dovrebbero poter beneficiare delle identiche agevolazioni fiscali riservate alle attività formative sportive. Inoltre, dovrebbero poter contare su un riferimento istituzionale specifico, come è il CONI attualmente per lo sport. Un simile intervento, oltre a far chiarezza sull’inquadramento, andrebbe ad eliminare la “discriminazione” che purtroppo attualmente esiste tra l’arte e lo sport.

In questo momento le scuole di danza, oltre ad attraversare una crisi devastante dovuta all’emergenza sanitaria, vivono nel buio senza alcun riconoscimento per l’attività di formazione che propongono e dunque senza incentivi o interventi di valorizzazione. Un’invisibilità che non sembra non tener conto della fondamentale importanza che queste realtà rivestono, in generale, per il settore della cultura: molti professionisti hanno mosso i primi passi nelle scuole di danza private e spesso sono stati proprio i loro primi insegnanti ad individuarne il talento e ad indirizzarli verso le grandi accademie; senza le scuole di danza non si potrebbero formare i danzatori che compongono le compagnie di danza, scomparirebbe l’azione di avvicinamento del pubblico giovanile al balletto, non ci sarebbe la ramificazione dell’insegnamento della danza sul territorio nazionale, così come le tante e diverse realtà che operano “intorno” al settore.

Credo che in un momento come questo in cui l’attenzione sembra finalmente rivolgersi con più determinazione a queste realtà, grazie anche a recenti messaggi di solidarietà di grandi nomi della danza, si possa cogliere l’occasione per dare inizio ad un cambiamento, proponendo concrete proposte per la riapertura, ma anche esponendo e affrontando, in modo costruttivo e sistematico, tutta una serie di problematiche da tempo rilevate da enti e professionisti. La considero un’opportunità che può in un certo senso indicare una strada per “ricominciare” dando il giusto valore ed una nuova luce alle scuole di danza italiane.

Alessandro Rende

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1 commento

Silvia Cescato Maggio 19, 2020 - 8:55 pm

Sono perfettamente d’accordo. Pensare alla danza come a uno sport significa non tener conto di tutto il portato artistico che la danza ha in sè. Pensiamo solo alle emozioni che suscita, alla poetica di una coreografia che unisce, alla trama dei significati, musica, movimento, grazia, tecnica…

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