Abbiamo deciso di aprire la nostra nuova rubrica “Dietro le quinte” con un argomento che, visto il momento straordinario dovuto alla pandemia, è quanto mai attuale: il ruolo fondamentale del pubblico nello spettacolo dal vivo. E lo facciamo proprio oggi, in chiusura del 2020, sperando che possa essere di buon auspicio per il nuovo anno ormai alle porte.
Da quando è iniziata l’emergenza sanitaria, noi compresi, abbiamo cercato di colmare il vuoto lasciato dal vivere una rappresentazione dal vivo con spettacoli trasmessi in streaming online o in televisione. Sebbene ne fossimo consapevoli già prima, ben presto abbiamo realizzato che uno spettacolo teatrale, di qualunque genere esso sia, se non viene vissuto con la propria presenza fisica, è profondamente diverso. “Povero” di emozioni.
Eppure lo spettacolo è quello, si potrebbe obiettare. Le produzioni non cambiano: sono esattamente le stesse che abbiamo ammirato seduti in platea fino allo scorso febbraio.
Invece, cambia tutto profondamente. Il teatro che viviamo noi oggi, definibile “occidentale”, è un’evoluzione diretta dal teatro greco che ha avuto origine dalle feste religiose connesse al culto di Dioniso (VI secolo A.C.). E la caratteristica fondamentale che non è mai mutata è la “catarsi”, quel vortice emotivo che si scatena nella simbiosi tra artisti e spettatori, un fenomeno che gli antichi greci vivevano come una purificazione dell’anima.

Certamente vi era allora, come oggi, il fatto di vivere questa esperienza insieme ad altre persone accanto, in un’unione che amplificava queste forti sensazioni, ma è nella nostra individualità che viviamo quello sprigionarsi di emozioni davvero forti e che troppo spesso nella frenesia della nostra quotidianità finiamo per reprimere.
Questo è ciò che manca tremendamente oggi, non solo a noi spettatori, ma anche a tutti gli artisti che non possono calcare un palcoscenico. Perché se noi sentiamo l’esigenza di dover tornare il prima possibile ad assistere uno spettacolo, come può sentirsi un artista che di queste emozioni ha deciso di nutrire la sua anima per tutta la vita facendone il proprio mestiere?
Per queste ragioni credo che il Teatro non potrà mai essere sostituito dallo streaming. Sicuramente il mondo digitale potrà (e dovrà) essere sfruttato per una migliore comunicazione e diffusione dei contenuti, ma non può esserne l’evoluzione. Lo stesso discorso è valido anche per la televisione. Personalmente trovo fuori luogo, e in un certo senso inutile, la recente idea annunciata dal Ministro Franceschini di investire fondi pubblici per la creazione di una piattaforma in stile Netflix dove poter fruire di produzioni teatrali stando seduti nel proprio salotto, quando l’esigenza primaria credo sia solo una: far tornare il pubblico nei teatri.
Tolto il fatto che piattaforme di questo tipo, che mettono quindi al centro i “creators” di contenuti originali, esistono già (da Patreon a Twitch), non posso credere che l’Italia, invece di gestire e tutelare l’enorme patrimonio storico teatrale di cui è in possesso, investa denaro nello sviluppare uno pseudo Teatro 2.0 completamente slegato da ciò che realmente è lo spettacolo dal vivo. Quegli stessi fondi potrebbero essere sfruttati per sostenere i luoghi di spettacoli e di cultura per una messa a norma secondo le disposizioni anti-Covid, permettendone quindi una riapertura più che mai ravvicinata.

E tra i buoni auspici per il 2021, spero che i nostri governanti imparino anche la differenza tra “coreografia” e “scenografia”, visto che dalle FAQ dell’ultimo DPCM è chiaro quanto i concetti siano più che mai confusi. Peraltro, ci sarebbe da capire perché la Televisione può sempre tutto a discapito di molti altri altri, teatri in primis.
Da parte di tutta la redazione di TuttoDanza, cogliamo l’occasione per fare a tutti voi i nostri più sentiti auguri per uno splendido 2021 che possa essere caratterizzato da una rinascita della Danza in tutte le sue meravigliose sfaccettature.
Marco Pesta
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